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lunedì 19 luglio 2010

Degradati da cittadini a consumatori

di Tullio Guazzotti

La Costituzione della Repubblica ammette una sola categoria di persone soggette alla legge, queste persone hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza disitinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali (art. 3).


Queste persone sono precisamente chiamate “cittadini”, in ciò richiamando esplicitamente i principi affermati dalla Rivoluzione Francese la quale, non dimentichiamolo, segnò la vera discontinuità tra l’ordine antico (Ancien Régime) e la nuova filosofia politica che pian piano si è affermata nel mondo occidentale. Possiamo ben dire che la Rivoluzione Francese costituisca l’inizio della Modernità in campo civile e politico. Svolta epocale del pensiero che ha alimentato e tuttora alimenta grandi speranze di giustizia e uguaglianza dei diritti in tanti popoli oppressi nel mondo.
E’ il grande sogno, solo in parte realizzato, di non essere più sudditi esposti ai capricci dei sovrani, ma cittadini, armati della consapevolezza del proprio diritto di partecipare alle scelte politiche che li riguardano.
Ma siamo ancora effettivamente “cittadini” nel senso inteso dalla Costituzione?
Chiedo consiglio ad un vecchio Zingarelli del 1950, quindi più o meno coetaneo della Costituzione: CITTADINO: Chi appartiene ad uno Stato e ha i diritti e i doveri sanciti dalle leggi di esso.
Perfetto, definizione secca e precisa, corrispondente in pieno allo spirito della Costituzione.
Gli italiani dunque, dal 1948, si sono trovati, dopo tante lacrime e sangue, a passare dalla condizione di sudditi (della monarchia e del regime) a quella ben più dignitosa di cittadini della Repubblica. Un mondo nuovo si spalancava, pieno di difficoltà ma anche di opportunità, con un paese da ricostruire, un’economia da inventare, una politica in cui buttarsi con passione e talvolta con ferocia, in una parola, nel dopoguerra c’era entusiasmo.



Il mondo contadino cambiava e scopriva la meccanizzazione, i più lasciavano le campagne e si trasferivano nelle città operaie, dove acquisivano mentalità diverse e scoprivano la dimensione collettiva della vita, superavano la rassegnazione e l’individualismo del vecchio mondo contadino, accedevano per la prima volta al denaro ed alle possibilità che questo offriva loro.

 
Progressivamente si scopriva che la vita può essere più comoda, si possono dimenticare gli stenti e le incertezze della vita di campagna, si può rafforzare, lottando tutti insieme, la sicurezza economica.
Si può vivere una vita garantita, entro certi limiti.
Negli anni ’50 il piano Marshall consente la rapida ricostruzione delle città e delle infrastrutture, c’è lavoro per tutti e le fabbriche incominciano ad ingrandirsi e a moltiplicarsi. I bisogni primari (casa, cibo, trasporti) sono ben presto soddisfatti per gran parte della popolazione e la società impercettibilmente ma in modo continuo comincia a spostare sempre più in là il concetto di bisogni procedendo dall’indispensabile in direzione del superfluo. E’ la strategia di base della conversione dei cittadini in consumatori.
Questo processo negli Stati Uniti era già molto avanti anche prima della guerra e viene massicciamente importato anche da noi grazie alla asfissiante colonizzazione culturale del dopoguerra, colonizzazione, tra l’altro, ben lungi dall’essersi esaurirta anche ai giorni nostri.
Il folgorante passaggio avviene con la generalizzazione dell’usa e getta.
Fino alla fine degli anni ’50 nelle campagne praticamente il concetto di rifiuto era sconosciuto: metalli e stracci venivano recuperati dai rispettivi raccoglitori che giravano dappertutto con i loro carrettini e pagavano un tanto al chilo il materiale conferito. Il rifiuto organico, il cosiddetto “umido” semplicemente non esisteva, in quanto era cibo per galline, conigli e maiali.



Nelle città, l’unico rifiuto era l’umido, ogni altro materiale veniva recuperato da commercianti ambulanti che richiamavano le persone dalla strada con grida caratteristiche e riconoscibili.
Bottiglie a perdere non esistevano, tutto era vetro a rendere, soprattutto il latte che era venduto fresco di centrale in una rete capillare di latterie che provvedevano a recuperare i vuoti, anche dello yogurth.
Poi, con crescendo inarrestabile, in pochissimi anni, dilaga l’usa–e-getta e compaiono, in proporzioni impressionanti, i rifiuti.
Le parole chiave sono: pratico e comodo.
E’ il debordante elogio della pigrizia che fa leva sul nascente infantilismo della società, plasmato dalla pubblicità che a sua volta si trasforma: se storicamente decantava la qualità di un prodotto, ora con tecniche sempre più raffinate ne crea la necessità psicologica, creando un vortice di bisogni indotti riassumibili nello slogan “MAI PIU’ SENZA!”.
Una volta innescato il processo, sono sparite le “Giornate del Risparmio” sostituite dalla propaganda per l’indebitamento tramite “comode rate” con le quali si può avere tutto e subito, impoverendosi per il resto della vita. La soddisfazione infantile delle pulsioni genera continuo e crescente desiderio.
Il risultato di questo processo, iniziato grosso modo agli inizi degli anni ’60 del ‘900, ci ha condotti all’attuale disastro economico, politico e culturale.
Ora non siamo più cittadini, il nostro valore non si misura più in quanto persone ma in quanto consumatori.



Riapro il vecchio Zingarelli del ’50: Consumatore = che distrugge | sciupone | chi in un caffè mangia o beve qualcosa | compratore al minuto.
Certo i primi significati sono quelli direttamente derivati dal latino consumere, che ha un significato nettamente negativo, pressochè equivalente a distruggere. 
Una persona degli anni ’50 avrebbe anche potuto offendersi nel sentirsi apostrofare “consumatore”.
Questi significati in un dizionario moderno sono scomparsi o relegati tra gli ultimi.
Il significato che troverete per primo è “chi acquista e consuma i prodotti della natura e dell'industria per i propri fabbisogni”.
Perfetto. La transizione si è completata, la distruzione è diventata “fabbisogno” con il che si giustifica anche la fine del concetto di cittadino.
Il crimine più grande è non consumare. Consumare (nel senso di distruggere) è necessità.
Ciò che una volta era considerato superfluo, quindi opzionale, col tempo è diventato necessario, poi quasi obbligatorio. 
Gli inutili e dannosi “fabbisogni” che oggi letteralmente si succhiano col latte materno hanno creato una società infantile e incapace di distinguere l’utile dall’inutile, disposta a vendere anche la propria libertà per inseguire il pifferaio di turno che abbia la faccia tosta di promettere il Paese dei Balocchi dove tutto è a disposizione, senza conseguenze e senza responsabilità.
Con i bei risultati che sono sotto gli occhi di tutti.
Tullio Guazzotti




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